L’immaginario di Samuel Taylor Coleridge

Posted on 23/10/2010

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John Keats disse a proposito del frammento del sogno di Kubla Khan: L’uomo capace di analizzarlo avrebbe potuto sciogliere i fili di un arcobaleno.

Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), figlio di un Vicario anglicano, destinato alla carriera ecclesiastica che poi non intraprese, fu un poeta, critico letterario e filosofo inglese che insieme all’amico Wordsworth fu il fondatore del romanticismo inglese. Nel 1794, insieme a Southey, del quale sposò la sorella Sara l’anno successivo, ideò la “Pantisocracy” una specie di Comune a Susquehanna in America, progetto che fu poi abbandonato. Gli anni intorno al 1790 furono un periodo di frenetica attività, appassionandosi anche alla Rivoluzione Francese. Nel 1795 Coleridge incontra William Wordsworth, la cui influenza si fa subito sentire in gran parte della  sua visione letteraria e politica, e nel componimento This Lime – Tree Bower My Prison che contiene degli elementi nuovi rispetto ai suoi precedenti scritti, la condivisione del credo di Wordsworth nel potere moralizzante dell’amore e della natura e la capacità di quest’armonia nel migliorare l’uomo. Da questa collaborazione nasce il libro Lyrical Ballads , che si apre con una delle quattro poesie del poemetto The Rime of the Ancient Mariner. Egli incomincia anche altre tre ballads, mai completate. La più famosa di queste è Christabel. Inoltre è sempre in questo periodo che scrive Kubla Khan, frutto dei meravigliosi viaggi procurati da un abuso di oppio, da cui era dipendente sin dal 1800,  a causa dei fortissimi dolori per i reumatismi di cui soffre. Coleridge ha una produzione letteraria ristretta della quale la migliore espressione della sua forza poetica sono le Lyrical Ballads dove il contributo dei due poeti è assai differente: Wordsworth riceve ispirazione dalle cose semplici della vita quotidiana e ne adotta la semplicità nello stile, Coleridge proietta il lettore nel suo mondo immaginario in cui vede il passato come misterioso e fantastico, chiedendogli di astenersi dal giudicare ciò che legge per lasciarsi trasportare nel mistero e nel sovrannaturale. La bellezza della poesia di Coleridge, ricca di spunti meditativi, è data dalla musicalità e dal colorito, dal potere evocativo delle parole che sanno creare immagini di rara bellezza, anche se velate da una profonda tristezza. Il carattere frammentario del suo pensiero, gli ha impedito di crearsi una vera identità filosofica, ripercorrendo continuamente il cammino intrapreso da altri filosofi come Kant, Fichte, Schelling etc. La tragedia della vita di Coleridge è una tragedia della volontà, di carattere dispersivo e passivo, ha vissuto travagliate vicende che lo hanno portato a facili quanto caduchi entusiasmi che gli hanno impedito di portare avanti molti dei suoi progetti. Le sue opere poetiche si ispirano a una concezione unitaria, che evoca l’essenza misteriosa dell’immaginazione e l’unità creativa della vita. Fu il precursore di un indirizzo fondamentale della cultura vittoriana, influenzando profondamente le generazioni successive.


Kubla Khan or, A Vision in a Dream: A Fragment
 

Coleridge Cottage

Incominciato nel 1798 e pubblicato incompleto nel 1816, è stato apparentemente ispirato da un sogno indotto dall’aver fumato oppio. Coleridge si sveglia con un’idea chiara della poesia, persa purtroppo, così vuole la “leggenda”, per la cessazione dell’ispirazione poetica all’arrivo di un amico. I Pilgrimage di Purchas, furono una fonte d’ispirazione per la poesia di Kubla Khan, ecco il racconto che fa lo stesso Coleridge parlando in terza persona nelle note che accompagnano la prima pubblicazione dell’opera (1816):

“Nell’estate dell’anno 1797 l’autore, infermo, si era ritirato in una fattoria solitaria tra Porlock e Linton, (…) A causa di una lieve indisposizione era stato prescritto un anestetico [in realtà era oppio], per effetto del quale egli si addormentò seduto mentre leggeva nel Pilgrimage di Purchas la seguente frase, o parole analoghe:

“Qui il khan Kubla ordinò che fosse costruito un palazzo con annesso un imponente giardino. Così dieci miglia di terreno fertile furono circondate da un muro”.

L’autore continuò a dormire profondamente per tre ore, almeno per quanto riguarda i sensi esteriori, e in questo periodo di tempo egli ha la più viva certezza di aver composto non meno di duecento o trecento versi, se invero può dirsi composizione il sorgere davanti a lui di tutte le immagini come cose, ciascuna accompagnata dalle espressioni corrispondenti, senza alcuna sensazione o consapevolezza di sforzo. Al risveglio gli parve di ricordare chiaramente il tutto e, prendendo carta, penna e inchiostro, subito e rapidamente mise per iscritto i versi che sono qui preservati. A questo punto fu malauguratamente chiamato fuori da una persona venuta da Porlock per affari (…) e quando tornò alla sua stanza scoprì con non poca sorpresa e delusione che, per quanto conservasse un vago e impreciso ricordo del significato generale della visione, tutto il resto, a eccezione di otto o dieci versi e immagini slegati, era svanito come le immagini sulla superficie di un corso d’acqua in cui è stata gettata una pietra, ma, ahimè, senza che esse si ricomponessero in seguito!”

La storia è ambientata in un Oriente antico e pieno di riti magici. Il nome del poemetto proviene dall’antico khan mongolo Kubilai Khan (1215-1294). La forza espressiva di Coleridge si esplica proprio nella fervida immaginazione descrittiva e nel ritmo quasi musicale che dà allo svolgimento.

A Xanadù di  Kubla Khan é il volere
che sia eretta una dimora di piacere:
Dove Alfeo, il  sacro fiume, scorre
In caverne smisurate all’uomo
verso un mare senza sole.

Due volte cinque miglia di fertile radura
Furono circondate di torri e mura;
E c’erano giardini dai lucenti ruscelli sinuosi,
Dove fiorivano molti alberi d’incenso profumati;
E c’erano foreste antiche come le colline
Attorno spazi soleggiati e verdeggianti.

Ma  oh! Quel romantico impervio abisso inclinato
Sotto i cedri ombrosi in verdi clivi calante!
Un luogo selvaggio! Così sacro e incantato
Quale fu mai visitato sotto una luna calante
Da una donna in sospiri per il suo dèmone amante!
E da questo baratro, con un tumultuoso incessante ribollire,
Come se la terra in ansiti d’affanno respirasse,
Una fontana possente sgorgò d’un tratto a forza:
Tra rapidi scrosci semintermittenti
Enormi frammenti a volta come di grandine rimbalzata
O come pula di grano dal mietitor trebbiata:
E in mezzo a questa danza di rocce danzanti una volta e per sempre
Si protese il fiume sacro istantaneamente.
Cinque miglia con un movimento sinuoso e labirintico
Attraverso i boschi e le vallate il sacro fiume scorre,
Poi giunge alle caverne smisurate all’uomo,
E sfociò in tumulto in un oceano senza vita:
E nel fragore Kubla udì da lontano
Voci ancestrali profetizzanti guerra!

L’ombra della cupola dei piaceri
Galleggiò a mezza via sulle onde;
Risuonò il ritmo sovrapposto
Dalla fontana alle caverne.
E fu un prodigio di rara maestria:
Una soleggiata dimora dei piaceri con antri di ghiaccio.

Una fanciulla con un salterio
In una visione un tempo io vidi:
Una cameriera Abissina
E col suo salterio sonava,
Cantando del Monte Abora.
Potessi far rivivere in me
La sua sinfonia e il canto,
Da tale gioia profonda mi lascerei afferrare,
Che con la musica forte e prolungata
Quella dimora anch’io fabbricherei,
Quel Duomo soleggiato! Quelle caverne di ghiaccio!
E tutti quelli che ascoltassero li vedrebbero lì
E tutti dovrebbero piangere: Attenzione! Attenzione!
I suoi occhi lampeggianti, i suoi capelli al vento!
Tessere un cerchio intorno a lui tre volte,
E chiudi i tuoi occhi con sacro timore,
Perché con ambrosia fu nutrito
E bevve latte di paradiso.

Il frammento di poesia scritto da Coleridge che, a suo dire, non ha continuato per l’arrivo di una persona che gli ha fatto svanire il ricordo del sogno appena fatto,  rappresenta uno dei più alti esempi della musicalità della poesia inglese. E’ una visione  immersa in una natura esotica,  senza una chiave di lettura che ne permetta l’interpretazione, è fatta di metafore ed immagini, proprio  come fossero le visioni di un sogno composto da parti discordanti,  armonizzate e tenute insieme in un unico racconto fluente. Molti hanno cercato di interpretare il frammento seguendo due criteri contrapposti, da un lato la formazione religiosa dell’autore, con i temi della caduta e della redenzione, frequenti nelle sue poesie e, dall’altro il racconto di un sogno, dovuto ad uno stato  in cui gli oppiacei di cui faceva uso  avrebbero provocato una visione fantastica.  Mi piace pensare che le due cose non siano così distinte e separate e  che ci sia anche una terza possibilità, cioè che sia un artificio poetico per non confessare di non aver terminato la poesia. Poiché in Coleridge c’è la tendenza a non portare a termine i progetti e ha lasciato una produzione frammentaria, forse Kubla Khan non è sfuggita alla sua scarsa volitività e l’artificio poetico serve solo  a nascondere il fatto di averla scritta con foga nel momento dell’ispirazione,  ma che non abbia saputo poi svilupparla e dare completezza alla sua idea. Come l’Eden, l’idillio di Kubla Khan non è privo di difetti, le voci ancestrali profetizzanti la guerra, presumibilmente parlano dal profondo dell’umana coscienza. E’, probabilmente, una visione amorosa rappresentata dalla ragazza abissina ed esplicita vari suggerimenti erotici, infatti, la donna nera è sensuale nella tradizione lirica inglese, ella  ha ispirato a Coleridge questa metafora della vita e della morte che ne è conseguenza,  se  l’uomo non armonizza con la natura e con la musica. Con una censura abbastanza violenta rispetto alle sue opere precedenti, in cui erano sempre presenti i temi religiosi del peccato e della redenzione attraverso l’espiazione, l’io poetante di Coleridge emerge esplicitamente, informandoci della visione, goduta in passato, di una fanciulla africana che, accompagnandosi  al salterio, cantava d’un certo Monte Abora. Il  Monte Amara è, secondo Milton, uno dei luoghi ritenuti veri paradisi, dove il grano cresce in abbondanza, allontanando quindi lo spettro della fame,  dove i re abissini relegano i figli minori nell’ozio, in attesa che si decida la successione. Questa poesia ha qualcosa di sublime,  di orrido e meravigliosamente bello, espressione di potenza. Kubla Khan è un personaggio molto potente e fa costruire un palazzo dei piaceri in Xanadu, in un luogo selvaggio, santo e fatato, sopra un orrido baratro. Sembra quasi volerci descrivere la creazione ad opera di un uomo molto potente ed il momento in cui l’uomo è partecipe al momento creativo, insieme alla natura, nell’atto che perpetua la vita o la fa soccombere. Tutta la poesia è un gioco di contrapposizioni, la vita e la morte sono contrapposte come contrapposte sono la cupola di sole, che rappresenta il calore e la vita e le grotte di ghiaccio, il freddo cioè la distruzione e la morte. I giardini, gli alberi da incenso e le assolate macchie di verzura si contrappongono alla descrizione dell’orrido baratro e i ruscelli sinuosi del giardino del palazzo si contrappongono al  fragore e alla potenza del fiume sacro che scorre verso un oceano senza vita.  La parte centrale della poesia sembra essere sì la descrizione della natura selvaggia ma potrebbe anche avere una doppia lettura, metafora dell’orgasmo e della vita rinnovatrice. Ed ecco che nell’ultima parte si intravede il desiderio di sublimare la visione del rapporto con questa fanciulla, quel luogo di letizia che fluttuava sull’acqua al loro ritmo sovrapposto, costruendo la stessa immagine del duomo di delizia in aria se solo potesse ricordare il dolce canto che lo ha attratto. Tutte le varie immagini che Coleridge ha descritto sono gli archetipi del sublime tradizionale. Fare tre volte un cerchio intorno alla ragazza, simile al cerchio di fuoco che si facevano intorno alle streghe, significa circoscriverla in uno spazio dal quale non potrà più fuggire, perché lì ha  trovato la vera felicità, assaporando la dolcezza del miele con il quale fu nutrito e bevendo il latte del paradiso, solo così potrà finalmente chiudere gli occhi e riposare.

La Ballata del Vecchio Marinaio (video)

Al di là di quell’ombra della nave
i serpenti di mar vedevo attorno:
nuotavano in gruppi luccicanti,
e quando essi apparivano sull’acqua
cadea magica luce in fiocchi bianchi.

Nell’ombra della nave io osservavo
l’abbigliamento di colore azzurro,
verde lucente, nero vellutato,
essi s’attorcigliavano nuotando,
e una traccia lasciavano dorata.

O felici creature! Non v’è lingua
ch’esprimer sappia la loro beltade:
e dal mio cor sgorgò flusso d’amore,
senza volerlo, io le benedissi:
di me il buon santo allora ebbe pietà,
ed io le benedissi inconsciamente.

Mi accorsi, allora , ch’io potea pregare;
e l’albatro dal collo si staccò,
e come piombo in mare, esso affondò.

Prega meglio colui che più sa amare
le grandi e le piccole crëature:
poiché il buon Dio che ci vuole bene,
tutto ha crëato, e ciò che ha fatto Egli ama.”

Il marinaio dagli occhi lucenti,
la cui barba è canuta per l’età,
è andato via: il convitato a nozze
non si recò a casa dello sposo.

Se ne andò frastornato ed intontito.
Ed il mattino dopo, al suo risveglio,
più triste ma più saggio si è sentito.

Video La ballata del vecchio marinario di Samuel Taylor Coleridge

Gustave Doré

E’ la storia di un marinaio che ferma un invitato a un matrimonio e gli racconta la sua storia. Egli aveva ucciso un albatro, un uccello innocuo che non faceva nulla di male, messaggero della speranza di salvezza dell’equipaggio che stava per naufragare. I marinai lo accolgono e gli danno da mangiare, poi con un atto assurdo ed infernale, il vecchio marinaio lo uccide con la balestra, come gli uomini uccisero Cristo portatore di verità. Un delitto immenso, che ancora oggi noi tutti scontiamo, l’uccisione dell’albatro, l’uccello che faceva spirare la brezza, rappresenta il male assoluto che non ha bisogno di moventi, perchè insito in ciascuno di noi. L’uno dopo l’altro i marinai muoiono tutti, come una maledizione che si abbatte su di loro. La favola del marinaio è essenzialmente una continua dannazione, che vede la morte ma riesce a riscattarsi espiando il suo peccato, pregando e benedicendo degli splendenti serpenti marini che gli erano apparsi, così l’incantesimo della morte si rompe e si salva. Il vecchio marinaio giunge alla cristiana saggezza dopo un lungo percorso, attraverso il deserto della colpa e l’inferno del peccato e porta l’albatro morto appeso al collo come Cristo portava la croce, creando così un’ambiguità tra la maledizione per la morte dell’uccello e la redenzione. Il finale è comunque tragico, malgrado la redenzione il marinaio è condannato ad un’eterna penitenza, quella di vagare e raccontare la sua storia, ma è anche la missione d’insegnare l’amore e il rispetto per le creature che Dio ha creato,  l’invitato può così andare al matrimonio.

Nel 1816 pubblica un altro poemetto non concluso, Christabel, un racconto fantastico, ricco di elementi gotici, dove si parla di una bellissima vampira. Christabel è una figura ambigua e critica che sostiene al contempo la sua innocenza e la sua complicità in ciò che le è capitato. Non è un caso che la protagonista abbia un nome che unisce il nome di due innocenti che soffrirono nella Bibbia: Christ e Abel. Il potere del poema dipende in gran parte dall’aver compreso che Geraldine trasmette a Christabel alcune sue doti e che Geraldine una volta era l’innocente a cui rapportarsi, ciò che Christabel è all’inizio e che il passaggio dalla vergogna al dolore è necessario al processo di evoluzione del personaggio .

Biografia Letteraria

In quest’opera in prosa,  afferma le sue capacità di analisi e critica filosofica, politica e teologica, egli elabora alcune teorie filosofiche che dovevano entrare a far parte di un progetto filosofico più complesso ma mai prodotto. La bellezza della poesia di Coleridge, ricca di spunti meditativi, è data dalla musicalità e dal colorito, dal potere evocativo delle parole che sanno creare immagini di rara bellezza, anche se velate da una profonda tristezza. Il carattere frammentario del suo pensiero, gli ha impedito di crearsi una vera identità filosofica, ripercorrendo continuamente il cammino intrapreso da altri filosofi come Kant, Fichte, Schelling etc. La tragedia della vita di Coleridge è una tragedia della volontà, di carattere dispersivo e passivo, ha vissuto travagliate vicende che lo hanno portato a facili quanto caduchi entusiasmi che gli hanno impedito di portare avanti molti dei suoi progetti.

Omaggi a Coleridge

Alle poesie di Coleridge sono stati dedicati vari omaggi, Paul Gustave Doré, pittore e incisore francese, ha illustrato, in una delle sue opere maggiori, la Ballata del Vecchio Marinaio con una serie di tavole dal gusto romantico, accostato a una visione epica. Questo poemetto lo ritroviamo anche nei fumetti di Disney, attraverso le vicende di Paperino, nei cartoni animati intellettuali amercani della serie dei Simpson, dove Lisa fa un accenno alla storia dell’albatro, nel cantautore italiano Vinicio Caposela nell’album Ss. dei naufragati (nell’album del 2006 Ovunque proteggi).

Video Iron Maiden – Rime of ancient mariner Parte seconda

Nel 1984, la band  Iron Maiden compose una vera e propria suite musicale, che concludeva l’album Powerslave, intitolata The Rime of the Ancient Mariner, ispirata al poema di Coleridge e con varie citazioni dell’opera all’interno del testo stesso del brano. La parte lirica fu a cura del cantante Bruce Dickinson, laureato in letteratura inglese ed ex-insegnante presso una public school britannica (le scuole private frequentate, solitamente, dai figli della nobiltà e delle classi più elevate della popolazione inglese). L’opera Kubla Khan, viene citata nel romanzo “Il sentiero della Dea” di Phillis Curott, nel quale si fa riferimento agli antichi misteri pagani e all’antica religione, trovando collegamenti tra essi e la poesia di Coleridge. Xanadu è anche una canzone cantata da Olivia Newton-John, pubblicata nel 1980 come colonna sonora dell’omonimo film in cui partecipò anche la cantante. A Coleridge è stato dedicato anche un cratere presente sulla superficie di Mercurio.

Video Olivia Newton John & Elo – Xanadu

Elettra Prodan